Milo Busanelli, “Rigenerazione” [pubblicato, “censurato”]

Il giorno in cui Bianca ha perso una gamba le rimaneva l’altra, invece a me restava una ragazza senza gamba. Guidavo io, ma avevamo bevuto entrambi. Se fossi partito dopo. Se avessi frenato prima. Se avessi preso la macchina.
“Sono quella di sempre”, ma una gamba in titanio (testina in ceramica, cotile in cromo-cobalto, rivestimento in silicone) non l’aveva mai avuta. I tessuti si sono abituati, il cervello no, così doveva rinunciare alla gamba o ai segnali che le mandava la testa.
La voglia sul poplite era sparita, ma una pelle così liscia (colore uniforme, temperatura stabile, niente cellulite perché non c’erano cellule) l’avevo solo ipotizzata. Di notte sognava una metallosi che gli esami radiografici smentivano, ma l’insufficienza epatica e le striature sulle mucose confermavano (“era un incubo?”).
“Troppo perfetta per essere vera”, la sua motivazione per disfarsene, ma l’ho convinta che era un suo difetto (per lei: della gamba che non s’integrava; per me: del corpo che la rifiutava). Come sarebbe stato un utero biomeccanico?
Lei invidiava il mio corpo intatto, io ero disposto a tutto per potenziarlo. “Non la sento mia” e Melania l’ho battezzata io. Prima desiderava essere madre, poi ha smesso perché il mio desiderio si è realizzato (“risparmiamo sui pannolini”), ma lei non considerava Melania sua figlia e io facevo entrambi i genitori. Non piangeva, non sbavava, non cresceva, ma scalciava a piacimento (“per fortuna non hai perso un orecchio”).
Accarezzavo il peroneo, baciavo la patella, passavo la lingua sul calcagno a cerchi concentrici, penetravo tra le falangi (in crescendo con l’eccitazione fino all’alluce), venivo sulla testa del femore senza precauzioni e la infilavo nell’acetabolo. Bianca sperava finisse presto, io sapevo non sarebbe stato per sempre (le articolazioni rilasciano detriti, la ceramica cigola, i biomateriali grippano), ma pure noi non siamo eterni. “Abbiamo risolto il trauma del cambio gamba, affronteremo quello del ricambio”, ma lei rifiutava la prospettiva a lungo termine perché temeva fosse una protesi del presente, così si rifugiava in un passato artefatto.
Il giorno in cui Bianca ha perso una gamba non me l’ha perdonato, ma il mio senso di colpa temporaneo è stato una sufficiente punizione. “Poteva andare peggio, potevi morire” (o andare meglio, perdendo anche un braccio), ma lei non voleva sopravvivere all’80%. Senza la gamba era carente, con Melania si sentiva posticcia nonostante gli altri la guardassero attraverso un’altra protesi (“gli occhiali sono diffusi, le neo-gambe possono diffondersi”).
Bianca non mi capiva perché si credeva incompresa, io ero frustrato dal prestito intermittente che non avrebbe fatto parte di me anche se fosse stato mio (“voglio un upgrade”, a chi chiederlo?). Se avessimo dato il meglio di noi non ci sarebbero stati problemi di compatibilità.
Voleva abbandonare Melania e lasciare me, ma cosa ne sarebbe stato di lei? “Dovresti impiantarti un nuovo cervello”, ma sarebbe diventata un’altra (o l’identità è nell’anima? allora la carne è un optional).
Avevamo deciso di lasciarci, ma quando Bianca ha perso una gamba siamo rimasti insieme (come se fossimo divisi). Prima ci eravamo avvicinati senza unirci. Prima ancora mi sentivo scisso. La bellezza salverà il mondo, ma senza sinergia è una condanna (la somma delle parti dà zero, meglio toglierle).
Dormivamo in letti separati, uscivamo senza salutare, ci contendevamo Melania malgrado Bianca preferisse la stampella mentre io la preferivo allo strap-on: lei sosteneva che era sua, io che possedevo entrambe (se voleva la parità dei diritti che pagasse la sua metà di armadio).
La riabilitazione del corpo era riuscita (guidava per non camminare, incontrava le amiche per evitare gli estranei, lavorava di più per pensare meno), ma continuava la convivenza forzata. Si vergognava della sua mancanza e ancor più dell’integrazione, si vergognava ne fossi orgoglioso, ma ero io la causa, così rifiutava le conseguenze. “Sei stata tu a riempirmi il bicchiere, prenditela con la bottiglia”, ma mi accusava di manipolare i ricordi (“li hai rimossi e io li riempio”).
La terapia di coppia l’abbiamo provata, ma lei non superava lo shock e io non volevo (una sgasata e l’ho messa incinta). Il terapeuta: “Dovete scendere a compromessi”, ma ci è bastata la caduta dalla moto (le salivo sopra o stavo sotto, ma uscivo prima, restavo solo nel buco sbagliato).
Bianca ha nascosto Melania e l’ho trovata, è fuggita e l’ho raggiunta, ha cambiato la serratura e sono entrato dalla finestra (la volta dopo era chiusa, ho aspettato in garage). Le minacce non sono servite, finché non le ho realizzate (davanti e dietro; quando non c’è sutura affettiva che tenga meglio lacerare il rapporto).
Per rinsaldare il legame le ho proposto di sposarmi, ma le bastava l’unione civile e io mi accontentavo dell’accoppiamento (le fistole sono guarite, ma il suo timore degli ematomi occulti stuzzicava la mia voglia di scoprirli).
“Sfondami col piede di Melania e siamo pari”, invece ha tentato il suicidio, ma la finestra era bassa e il piano di atterraggio affollato, così ci ha rimesso un passante. Risultato: io ho tenuto Melania e Bianca ha preso una carrozzina.

Leggi la versione originale di “Rigenerazione” di Milo Busanelli

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