Finalmente sei tornato. Ti guardo in silenzio, mentre scendi i gradini, e posi lo sguardo sulle otto sedie che avevi comprato per le feste, quelle che non organizzi mai. E mentre passi, la lampadina che penzola nuda dal soffitto ondeggia. Poco, quel tanto che le basta per illuminare la scaffalatura. Ti avvicini, e cominci a cercarmi, fingendo di passare in rassegna tutte le altre, accarezzandole una a una mentre dormono. Ma io so benissimo che è me che vuoi.
Passi un dito, un tocco breve, sul collo di ognuna di noi, quasi a fare l’appello di chi manca e chi c’è ancora. Poi da sopra qualcuno ti chiama. Ti volti, urli che stai arrivando, ti giri di nuovo verso di noi, e sussurri uno “scusate” e intanto ci accarezzi, una a una, partendo dalla testa, con un dito, che poi diventa una mano intorno al collo, una mano che scende sfiorando, fino in fondo, per poi ritrarsi, come se faticassi a trattenerti.
Il tuo sguardo si posa finalmente su di me. Erano anni che aspettavo. Mi guardi più a lungo delle altre, e stavolta la mano si ferma sul collo e lì rimane, prima che tu mi prenda e mi avvicini a te, con delicatezza, premendomi contro il ventre. Finalmente sono tua.
Sono stata reclinata a lungo, a dormire dolcemente su questo scaffale di legno. Guardo le altre che mormorano un arrivederci. Intanto tu sali le scale e giunto in cima, col gomito spegni l’interruttore: torna il buio nella cantina e le altre riprendono il loro riposo d’attesa.
Di sopra, in un attimo le tue narici si riabituano all’odore del brasato che sta preparando tua moglie.
«Ma quante storie per una bottiglia» ti dice di nuovo dalla cucina, sentendo i tuoi passi avvicinarsi. «Piuttosto, sbrigati a darmi una mano. Tra poco arriveranno i tuoi ospiti e devi ancora apparecchiare».
Detesti il modo in cui ha sottolineato che gli invitati sono i tuoi. Sai già che domani, stanca, ti rinfaccerà che ha cucinato tutto il giorno per gente che non le sta neppure simpatica. Ti dirà che il tuo capo è un arrogante, che non capisce come mai lo vuoi frequentare oltre l’orario di lavoro. Ti farà notare che la moglie è noiosa, che parla solo di prodotti per la casa, e scarpe, e vacanze che loro si possono permettere – voi no. Allora tu sarai pronto a difenderci, perché sai bene che se non potete fare le vacanze che sogna tua moglie è a causa nostra. Perché ogni giorno di ferie tu lo passi a cercarci tra colline vitate e strade del vino, e ogni soldo rimasto lo spendi per noi.
Mentre mi porti in giro come un trofeo, percorrendo il corridoio quasi fosse l’antica Via Sacra già pregusti i miei profumi, i miei sapori. Meglio ancora, sono una delle Sabine dello storico ratto. Una schiava portata dalle province lontane nella capitale dell’impero. La tua prossima concubina, anche se ancora per poco. A ogni passo il tuo sogno a occhi aperti si arricchisce di dettagli. M’immagini mentre versandomi nel tuo bicchiere ti ipnotizzo con i miei preziosi riflessi granato. D’ora in poi farai quello che dico io, nient’altro. E se già la potenza del mio colore è in grado di avere questo effetto su di te, pensa cosa accadrà quando i miei profumi affioreranno dal bicchiere. Quando in una danza mi farai roteare e i miei sentori, così ammalianti, così sensuali, si libreranno nell’aria, giungeranno alle tue narici. C’è chi dice che l’uomo va preso per la gola, ne è convinta anche tua moglie che si dà così tanto da fare in cucina, ma tu sai bene che per conquistarti ci vuole il naso, che per arrivare dritti al tuo cuore serve l’odore dolce dei petali appassiti, la passionalità delle spezie più esotiche, i toni terrosi, di sottobosco, che ricordano amori clandestini, lontano dagli occhi di tutti, nascosti dietro i cespugli di un querceto.
Ti chiedi come sarà il mio sapore, ma sai già che quando inonderò la tua bocca un calore immenso si diffonderà lungo il tuo corpo, inebrierà tutti gli altri tuoi sensi. Solo con me potrai essere come sei davvero, solo con me potrai lasciarti andare. E per quanto potrà essere breve il nostro rapporto sai bene che non ti lascerò subito. Che quando avrai mandato giù il primo sorso resterò lì, ferma, a possedere la tua bocca, con tutti i miei ricordi di piccoli frutti rossi, imboccati uno a uno come cibo afrodisiaco, e ancora quelle spezie delicate e i petali appassiti e i ricordi del sottobosco.
Arriviamo in cucina, e lì, su un ripiano, vedo il decanter che già mi aspetta. Una candela accesa, da manuale.
A un paio di metri di distanza tua moglie sbuffa ma sa che non c’è niente da fare. Da questo momento in poi sarà messa da parte, per un po’. Quante volte t’è capitato di punzecchiarla dicendo che farebbe meglio a lamentarsi meno? Che le poteva capitare un uomo con una segretaria come amante, o una qualsiasi altra storia segreta? E invece tu al massimo la tradisci con noi. Ma ormai ha capito; così sbuffa ma ti lascia godere questo momento. Chissà se è per questo che si concentra così tanto sui fornelli, che preferisce volgere altrove lo sguardo durante un tradimento così plateale? Chissà se è per questo che improvvisamente inizia a canticchiare sotto voce il tema di una canzone che le piace tanto, mentre tu col coltellino recidi la capsula e poi la togli? Pulisci il mio collo e poi prendi il cavatappi. Mi guardi ancora, per l’ultima volta prima che io mi sveli in tutta la mia bellezza. Per un attimo dubiti di me, se è solo un amore basato sulle apparenze. Su un nome altisonante, su una nobile provenienza. E io, che so bene come sono, impazzisco dalla voglia che tu mi metta alla prova.
Non farmi aspettare ancora. È giunto il momento, non vedi? Segui il tuo istinto, senza ripensamenti. Affonda nel sughero, spogliami, versami, piano. E bevimi.