Roberto Todisco, Jimmy Lamericano [estratto]

Quello fra Jimmy e Teresa fu un amore sincero, appassionato, ma vissuto dai due in modo differente. Lui si sentiva l’uomo più felice del mondo, in quei primi mesi di uno degli anni di grazia, il millenovecentotrentotto, più brutti che sia toccato di vedere alla gente. Jimmy non ci pensava. In realtà aveva smesso di pensare anche al suo avvenire, lui che aveva sempre avuto ben chiaro in mente la certezza che sarebbe diventato medico e che, proprio a causa del suo amore per Teresa, adesso non solo si trovava senza lavoro, ma anche senza prospettive. Ma soprattutto Jimmy non voleva pensare all’ombra più scura che si allungava sulla sua felicità, lo scoglio più alto e grosso da superare, il fatto incontrovertibile che Teresa fosse una donna sposata e che, sarebbe stata solo una questione di tempo, suo marito doveva tornare. Jimmy non chiedeva mai a Teresa di suo marito, sapeva che era in Africa, certo, ma non volle sapere niente di più, cosa faceva e come era fatto. Forse era una maniera infantile di allontanare il problema, di pensare che se non pensiamo alle cose oppure non le guardiamo più queste spariscano anche per gli altri.
Teresa non riusciva a volare così in alto come Jimmy, passava, anzi, momenti di sconforto, di senso di colpa così lancinante che le pareva impossibile non solo portare avanti quella relazione così folle, ma anche tornare alla sua vita di prima.
Una volta che Teresa sembrava particolarmente assente, Jimmy le sfiorò il mento con due dita, Qui Jimmy a Nido di Corvo, Nido di Corvo mi sentite? Allora Teresa si voltò, terrea, Lo sai cosa mi ha salvato dallo stato di isolamento in cui ero sprofondata dopo la morte di mia madre? È stato capire che nel mio Nido si potesse stare in due, è stato Italo, mio marito. Io lo amo e gli devo tutto. Dimmi Giacomo, cosa dobbiamo fare? Jimmy deglutì rumorosamente. È un po’ che ci penso, fece dopo qualche secondo, Davvero tuo zio è stato su una baleniera in Groenlandia? Teresa sorrise, Si inventava tutto quel matto, me lo ha confessato il giorno del mio matrimonio, non sei più una bambina, mi disse. E le cose che ti portava dai viaggi, il pappagallo eccetera? Ha un negozio di antiquariato e rarità in città, compra e vende qualunque cosa. Allora anche la storia del Nido di Corvo è tutta un’invenzione? Quella l’ha letta in Moby Dick, gli era piaciuta moltissimo, m’ha detto. Jimmy e Teresa scoppiarono a ridere.
Ti piacerebbe addormentarti mentre guardiamo abbracciati un bel film? disse una volta Jimmy a Teresa. E come si fa? Ci vorrebbe un cinema piccolo piccolo da mettere in camera da letto. Teresa era divertita dalla voglia che aveva sempre Jimmy di scherzare. Ma dimmi, ti piacerebbe? È impossibile. Non nel nostro mondo. Così Jimmy la prese per mano e la portò fuori nella notte. Arrivarono davanti al cinema Capitol, la cui entrata principale era chiusa da una grata di metallo. Jimmy sapeva benissimo cosa fare per entrare, conosceva quel posto a memoria, anche al buio dell’interno si muoveva con gran sicurezza tenendo per mano Teresa. Insieme salirono nella saletta del proiettore, Accomodatevi, disse Jimmy gettando per terra due grossi cuscini che aveva portato con sé. Poi andò ad un armadietto di legno e prese un grosso cerchio metallico che conteneva una bobina di film. Cosa metti? disse Teresa col sorriso più ampio che aveva. Non ne ho la più pallida idea, e andò ad armeggiare col proiettore.
Jimmy non poteva sapere di star pensando il futuro, come non poteva sapere quanto il cinema sarebbe tornato nella sua relazione con Teresa. Ha ragione zio Gino, pensò mentre Teresa si spogliava ad occhi chiusi, La vita è come il cinematografo.

Un giovedì di inizio marzo era sferzato da un grecale gelido e il tempo stava cambiando in peggio. Il vento faceva risuonare come canne di un organo tutte le mille fessure e i canali del vecchio palazzo in cui abitava Jimmy. Per questo quando andò a rispondere al telefono non si aspettava proprio di sentire il segnale. Col dubbio di aver sentito male, che insomma quel fruscio potesse essere solo un’interferenza elettrica, disse un’altra volta, Pronto. Questa volta ne fu sicuro, Teresa aveva soffiato due volte nella cornetta. Era il segnale.
Come sempre accadeva quando riceveva queste telefonate si precipitò ad uscire. Masticò due scuse con la zia che gli chiedeva cosa diavolo gli saltasse in mente di andar fuori con quel freddo, Che sta pure per mettersi a piovere.
Infilò la mano nella solita crepa e rabbrividì quando la pelle toccò il muro gelato. Sul foglietto c’era scritto, “Stazione, ultimo treno”. Jimmy cominciò ad agitarsi. Qualcosa non va, pensò.
Mentre riprendeva la strada del Paese Jimmy si sforzò di scacciare tutti i pensieri cattivi che gli si ammassavano in testa, proprio come le grosse nuvole scure nel cielo. Era presto per andare direttamente all’appuntamento ed era troppo freddo per una passeggiata sul molo. Restava il cinema. Entrò dall’entrata sul retro del Capital, come faceva sempre. Passò a salutare lo zio. Cos’hai, Giacomo? gli disse. Va tutto bene, rispose.
In sala c’era pochissima gente e sprofondare nel sediolino lo fece star meglio. Si accese una sigaretta. Il fumo gli andò negli occhi, già molto irritati da tutto il vento che avevano preso. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Il film era una commedia sofisticata con Cary Grant, come sempre, in gran forma. L’orribile verità.
All’uscita del cinema vide che aveva piovuto, ma almeno si era calmato un po’ il vento. Tirò su il bavero del cappotto e andò verso la stazione.
Quando da lontano vide che Teresa aveva una valigia con sé, sentì tutto il sangue farsi più liquido e gelido. La sala d’attesa era piena di fumo. Gli occhi di Jimmy ripresero a lacrimare. Che succede? si sforzò di restare calmo, di tenere un tono di voce neutro. Jimmy si era andato a sedere accanto a lei. Non si toccarono, non lo facevano mai in mezzo alla gente. Non si salutarono nemmeno. Teresa si mordicchiava il labbro. Che succede? ripeté Jimmy e stavolta indicò con gli occhi la valigia che Teresa teneva stretta fra le caviglie. Sto partendo, Giacomo, prendo l’ultimo treno per la Città. Il treno? domandò Jimmy, come gli sfuggisse proprio il senso della parola treno e non c’entrasse niente con la situazione. Teresa si guardò intorno. Si stropicciava la gonna con le mani. C’è un sacco di gente, Giacomo, non facciamoci notare. Asciugati gli occhi per favore. Jimmy si tocco la faccia e si ritrovò le lacrime sulle dita, come per caso. Non possiamo andare da qualche parte e parlare con calma da soli? Proprio per questo ti ho chiesto di venire qui, perché tu non possa provare a fermarmi. Ma di cosa stai parlando? Teresa fece un respiro profondo, poi si girò verso Jimmy, lentamente, Mio marito sta tornando dall’Africa. Mi ha mandato un telegramma. È già sulla nave. Lo aspetto in città, così intanto posso stare lontano da te e calmarmi. Aveva pronunciato solo frasi brevissime intervallate da lunghi sospiri, come le facesse male a parlare. E noi? a Jimmy tremava la gola. Giacomo ti prego. Stavamo vivendo in un mondo che non esiste, nessuno può farlo, tanto meno noi due. Un ferroviere infilò la testa nella sala d’attesa per annunciare che il treno era in partenza. Teresa si alzò, con un gesto quasi meccanico. Non devi fare quello che non vuoi. È quello che devo e quello che voglio. Perché? Teresa alzò la testa, per ricacciare indietro le lacrime. Le persone intorno a loro si muovevano stancamente e si avviavano all’uscita della sala d’attesa, per prendere il treno. Solo Jimmy e Teresa stavano fermi, in piedi. Io ho rinunciato a tutto per te, non puoi farmi questo. Non colpevolizzarmi, non è giusto, neanche per rispetto di quello che c’è stato fra di noi. Sapevi tutto, lo hai sempre saputo. Erano rimasti soli nella sala d’aspetto. Teresa ricadde seduta sulla panchina, si mise la faccia fra le mani e cominciò a piangere. Jimmy le si accucciò accanto, con un ginocchio poggiato per terra e i lembi del cappotto a bagnarsi nelle impronte degli scarponi da pioggia. Jimmy le parlò con la voce più dolce che riuscì a tirar fuori in quel momento, Perché dobbiamo farci del male? Troveremo una soluzione, vedrai. Magari ce ne scappiamo in America. Provò a sorridere. Il ferroviere si affacciò di nuovo dalla porta, Signori il treno è in partenza. Teresa sollevò il viso dalle mani. Aveva gli occhi gonfi e le lacrime le luccicavano sulla bocca. Pose le dita sulla guancia di Jimmy. Scosse leggermente la testa. Sorrise.
Accucciato, com’era rimasto, vide solo le gambe di Teresa andar via e infilare la porta della sala d’attesa. Era ancora lì quando sentì il treno fischiare e partire.

 

 

 

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