“Hai un limite. È questo il segreto. Quando arredi oltre le pareti non puoi andare.” È la prima volta che sento il tono della sua voce. Io e Totò ci ritroviamo sul pianerottolo tutte le mattina alle sette. Usciamo insieme sempre alla stessa ora, tranne il venerdì, il sabato e la domenica. Il suo studio resta chiuso: ci vogliono almeno tre giorni per riposare e scegliere il colore giusto, mi dice. Fa l’arredatore, ha sessantasette anni e stamattina indossa una giacca di pelle marrone, jeans chiari e scarpe da ginnastica, calzini viola, occhiali tondi specchiati e mentre chiude la porta della sua casa sta soffiando dentro una lattina di CocaCola.
“Sto studiando” dice, con sguardo perplesso.
Aspettiamo l’ascensore, e quando pigia sui tasti esasperato noto un’unica unghia, nera e sporca. Se ne accorge, infila la mano in tasca ed insieme entriamo, spalla contro spalla. Le porte si chiudono, sento una fitta allo stomaco, è la prima volta che prendiamo l’ascensore insieme, dico senza pensare:
“Totò, m’insegni ad amare?”
È immobile, fissa il soffitto.
“Sto pensando” dice.
Gli occhi iniziano a roteare, guarda le pareti dell’ascensore, l’arancione è antico e sporco. Premo lo stop, l’ascensore fa un balzo, io quasi gli frano addosso.
“Guarda le pareti di questo ascensore. Sono brutte, senza senso. È questo il motivo per il quale io e te non ci siamo mai incontrati. Tu usi le scale, io l’ascensore. Tu non entri qui dentro. Hai paura, ed è per questo che io non ti ho mai invitato a scendere con me. Ora sei qui perché sai: la bellezza si può creare ovunque.
In una stanza puoi cambiare i mobili, cambiare il colore delle pareti, appendere dei quadri, puoi tenerla chiusa per un po’, lasciare le finestre aperte, coprire con la plastica i mobili, riempirla di mobili o svuotarla completamente. Puoi far entrare chi vuoi. Ma le pareti. Quella è la parte fondamentale. Non c’è nulla di più importante delle pareti. Sono il tuo limite: devi creare. Basta vedere. Devi saper decorare, pulire, sistemare. Guarda.”
Prende una penna dalla tasca, si accuccia, vedo la peluria infondo alla schiena. In basso a sinistra scrive la parola puzza, poi scoppia a ridere.
“Ora non è tutto diverso?”
Preme il tasto del piano terra, tira fuori un cappello da pescatore color miele dalla tasca, mi lascia la penna, esce, si allontana.